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IL MOBBING: DEFINIZIONE

05/08/2009

Per capire cosa si intende quando si parla di "mobbing", conviene forse cominciare, come spesso accade, col chiarire cosa "non" si intende; non tutte le azioni che danneggiano un lavoratore, infatti, costituiscono mobbing. Non sono mobbing, per esempio, l'ingiusto licenziamento, le molestie sessuali, il sovraccarico di compiti, lo sfruttamento della mano d'opera minorile e così via. Quelle appena citate (e molte altre) sono pratiche illecite, alcune delle quali sanzionate da specifiche leggi, ma non costituiscono mobbing, anche se alcune di esse possono, se inserite nel contesto adeguato, divenire mobbizzanti. Il mobbing vero e proprio si conifgura dunque come un quadro d'insieme caratterizzato dall'intenzionalità di colpire il lavoratore nel tentativo di renderlo incapace di reagire. La strategia architettata dal "mobber" pone il "mobbizzato" in una condizione di difficoltà interiore, relazionale e istituzionale, tale da giustificare agli occhi degli altri lavoratori (e talvolta della vittima stessa) il trattamento sanzionatorio cui viene sottoposto. Perché delle azioni, lecite o illecite, possano essere considerate mobbing è necessario che una o più persone, motivate dall'intenzione di disfarsi o di neutralizzare o di screditare un individuo, architettino un piano per attaccarne la funzionalità del sistema difensivo, per distruggerne l'autostima, per esaurirne le energie psichiche in modo da renderlo vittima anche di sè stesso e porlo in una condizione di inferiorità. Il mobber coglie le debolezze psicologiche della vittima designata, individua i comportamenti adatti a suscitare tali debolezze e ad acuirle, sceglie la sequenza secondo cui organizzarli per ottenere il massimo dell'efficacia, sceglie i complici, a volte anche inconsapevoli, necessari alla realizzazione del piano, tiene sotto controllo i risultati in corso d'opera e adegua le azioni mobbizzanti alle risposte che la vittima viene fornendo. La vittima, d'altro canto, per essere tale e non trovare la forza per distruggere la rete che le si viene intessendo attorno, deve inconsapevolmente accettare il ruolo, riconoscersi in condizione di inferiorità, rassegnarsi progressivamente a subire ripiegando su sè stessa fino a giungere alla resa. Le azioni del mobber tendono a costruire attorno alla vittima un cerchio opaco, una rete invischiante, che ne rende difficile la lucidità e la capacità di reagire. La vittima, visto il fallimento dei tentativi di sottrarsi alla macchinazione, viene colta da depressione e, rassegnata e sfiduciata, in alcuni casi si consegna al nemico per farla finita il più presto possibile. Da quanto detto fin qui si evince come il mobbing sia un fenomeno prettamente psicologico, per affrontare il quale è indispensabile la competenza in materia. E' possibile a questo punto dare anche una definizione più compiuta del mobbing, secondo la quale esso è un fenomeno relazionale patologico che si realizza nei contesti lavorativi organizzati. Presuppone la presenza di almeno due persone nel ruolo di attori (mobber e mobbizzato) e di altre in quello di spettatori. Attori e spettatori possono essere singoli o gruppi. Il mobbing si manifesta con la messa in atto di precisi comportamenti vessatori e persecutori da parte di una o più persone ai danni di una o più persone. Può realizzarsi in linea verticale discendente (dal superiore gerarchico verso il sottoposto) o ascendente (dal sottoposto verso il superiore gerarchico) ovvero in linea orizzontale (tra pari grado). L'azione mobbizzante non può essere occasionale ma deve presentare le caratteristiche di persistenza e durata e può talora assumere il carattere di progressività. Il mobbing, quale che ne sia l'esito, produce nella vittima un danno, che può interessare uno o più ambiti, configurandosi come danno lavorativo, sociale, esistenziale e biologico, e può inoltre determinare l'estromissione del mobbizzato dal contesto lavorativo organizzato in cui opera o addirittura del mondo del lavoro.

 

 Enzo Artale

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