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L’EREDITARIETÀ DEI POTERI MAGICI

23/12/2007

Quanto sono affidabili le ricerche pubblicate su prestigiose riviste scientifiche? Può bastare che un’affermazione venga riportata su una di esse perché ottenga una patente di “scientificità” che la renda, se non invulnerabile alle critiche di altre ricerche, quanto meno credibile per il pubblico dei non addetti ai lavori? È quello che mi sono chiesto leggendo una ricerca pubblicata il 22 dicembre scorso nell’edizione on line dell’autorevolissimo “British Medical Journal”. L’obiettivo della ricerca era dimostrare l’ereditabilità dei poteri magici, tra cui la capacità di parlare con i serpenti, di cambiare il colore dei capelli e di predire il futuro. Orbene, non so se si tratti di uno scherzo o di un lavoro serio, ma alcuni dubbi meritano di essere sollevati, a partire già dall’ipotesi sperimentale. Gli autori della ricerca, tutti esìmi ricercatori e collaboratori della celeberrima Università di Oxford, hanno deciso di indagare sulle eventuali basi genetiche dei poteri magici di cui alcune persone godrebbero. Si dà, cioè, per scontato, che i poteri magici esistano, e che esistano quindi persone in grado di comunicare con i serpenti, di cambiare il colore dei loro capelli e di predire il futuro. Non solo: si ipotizza che questi poteri siano anche ereditabili. Peccato che non esista una sola ricerca scientifica al mondo, che io sappia, che dimostri l’esistenza oggettiva di tali facoltà. Più precisamente, ricerche in laboratorio sull’argomento ne sono state fatte tante, e alcune hanno anche dato esito positivo, hanno cioè permesso di concludere che certe persone sono veramente dotate del potere di percepire stimoli extrasensoriali, di controllare la materia con la forza del pensiero o di effettuare viaggi fuori dal corpo, ma nessuna di esse, a un controllo più attento, è risultata totalmente priva di vizi metodologici. Se questo dubbio non bastasse, il successivo deriva dal materiale sul quale i ricercatori in questione si sono basati: i 7 libri della serie di Harry Potter, di J. K. Rowling. In qualsiasi ricerca scientifica, la consultazione della letteratura sull’argomento è un elemento fondamentale del metodo di lavoro, ma di solito si parla di letteratura scientifica, non di romanzi fantasy. La discussione della ricerca prosegue arrivando a ipotizzare quali geni, loci e alleli sarebbero coinvolti nella determinazione della presenza dei poteri magici di cui sopra, dei modi in cui tali caratteristiche genotipiche possano essere state introdotte nel patrimonio genetico della specie umana (l’ipotesi più quotata pare essere quella dell’accoppiamento di esseri umani con creature del “mondo magico”, come gnomi o centauri), e la conclusione è, ovviamente, che i poteri magici hanno una base ereditaria, data non da un singolo gene ma dalla combinazione di più geni recessivi, la cui azione avrebbe a sua volta bisogno di essere rinforzata da specifici alleli che fungerebbero da potenziatori dei suddetti geni, il che spiegherebbe la bassa incidenza di persone dotate di poteri magici nella popolazione totale. 

 Evidentemente non devo essere stato il solo a chiedermi come possa un lavoro del genere trovare spazio su una rivista “seria” come il British Medical Jourmal. Infatti, i commenti giunti al giornale su questo articolo rispecchiano i dubbi già sollevati, e si chiedono soprattutto se sia giustificabile spendere i soldi destinati alla ricerca scientifica per lavori come questo. La risposta di uno dei ricercatori è in parte tranquillizzante: dice infatti di non aver usato fondi destinati alla ricerca per redigere questo articolo con i suoi colleghi, che il tutto è nato da un viaggio che uno di loro stava facendo con i suoi tre bambini, e che l’obiettivo era soprattutto quello di invogliare la gente a tornare a leggere i normali libri di carta in un’epoca sempre più tecnologica. Se il fine era davvero questo, onore al merito, ma mi chiedo quanto possa essere efficace per il raggiungimento dei suoi scopi la scelta di un metodo come quello usato dagli autori dell’articolo, e perché una rivista tanto importante si è presa la briga di pubblicare un lavoro del genere se non aveva finalità scientifiche, ma "solo" etiche. Per non parlare poi di quanti furbacchioni potrebbero usare pubblicazioni come questa per giustificare pratiche fraudolente. Forse, sarebbe il caso che gli stessi autori facessero una ricerca anche su questo argomento. 

 

 Enzo Artale

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